martedì 11 novembre 2014

IL LUNGO E SACRO 22 NOVEMBRE TARANTINO...

Si festeggia il 22 novembre Santa Cecilia, nobile romana, che si convertì al cristianesimo la sera delle nozze con Valeriano, convincendo anche il coniuge a convertirsi. Secondo la tradizione, un certo Almachio, dopo aver fatto decapitare il marito, per impossessarsi dei suoi beni, la fece immergere in liquidi bollenti ma ne uscì illesa e, per riuscire ad ucciderla, ne ordinò la decapitazione. Si narra che però sopravvisse per tre giorni ed ebbe il tempo, prima di spirare, di donare tutti i suoi averi ai poveri. Si racconta che durante la cerimonia nuziale, "mentre risonava la musica, Cecilia in cuor suo cantava la sua preghiera” e per questo fu consacrata patrona dei musicisti.
Con i festeggiamenti di Santa Cecilia, a Taranto, inizia l’Avvento, che in genere in altre località prende il via il giorno dell’Immacolata o, al più tardi, il giorno di Santa Lucia. 

All’alba del 22 novembre risuonano per la città le “pastorali”composte dai maestri tarantini del lignaggio di Giovanni Ippolito, Giacomo Lacerenza, Domenico Colucci e Carlo Carducci, ispirate alle melodie suonate dai pastori abruzzesi, che durante la transumanza, arrivavano nelle nostre terre con le greggi, barattando il diletto dato alle genti col suono delle loro zampogne, ciaramelle e cornamuse con del cibo. L’atmosfera, tra le musiche e l’odore delle pettole fritte in grandi padelle per le vie della città, sul far del giorno, è davvero magica  e racconta silente, per immagini, la bella storia di tutta la tradizione folkloristica tarantina dell’attesa del Natale.

Ed infatti le genti tarantine offrivano ai pastori, che giungevano affamati nella nostra brulla Terra, le pettole, frittelle di pasta di pane, un  cibo povero e semplice ma al tempo stesso gustoso e nutriente.
Si racconta che il giorno di Santa Cecilia, una donna tarantina si alzò, come faceva in genere, per preparare l’impasto del pane. Lavorò “ u luaf” (il panetto) “int’ u limm” (una grande coppa in terracotta), coprendolo con una “manta di lana” (una coperta di lana), lasciandolo riposare vicino a “fracassé” (l’antica cucina a legna). Udì le melodie degli zampognari e li seguì incantata per i vicoli del paesiello, dimenticandosi dell’impasto. Rientrata a casa, si accorse che la pasta del pane era lievitata troppo ma, senza scoraggiarsi, di quel composto appiccicaticcio ne fece delle palline che buttò a friggere nell’olio caldo. Quella fu la colazione per i figli che, incuriositi dalla novità, chiesero il nome di quelle belle pallozze soffici soffici, gli fu risposto “pettel” (piccola focaccia da “pitta”). Uno dei figli continuò: “ E ‘cce sont?”, “L’ cuscin’ du bambinell” (i guanciali di Gesù Bambino) rispose la madre, che scese per strada ad offrire le pettole ai pastori per ringraziare delle belle melodie suonate.


Da allora la tradizione vuole che il giorno di Santa Cecilia si aprano le porte alle feste natalizie al suono delle pastorali e gustando le pettole calde calde, insaporite con lo zucchero, il miele, il vincotto o addirittura la nutella, iniziamo la giornata tutti quanti più sereni e soddisfatti perché so tropp’bbone e cannarut’, in attesa di gustare tutti gli altri prodotti tipici tarantini del Natale.

A CURA DI ALESSIA SIMEONE