
Valorizzare un luogo significa, innanzitutto, viverlo senza lasciare spazio al giudizio laddove “Vivere non è concepire ciò che bisogna fare, è farlo” (Henri-Frédéric Amiel).
Vivere questo luogo significa provare la mancanza di servizi sociali e sanitari, la mancanza di spazi di aggregazione, l’interruzione di acqua pubblica per molte ore della giornata e, non ultimo, le condizioni urbanistiche e architettoniche che fanno da cornice ad un premeditato degrado economico e sociale.
La reale valorizzazione del quartiere è quella che mira a renderlo abitabile per chi già vive in case fatiscenti e che riconosca nei suoi abitanti la sua principale ricchezza.
E allora, succede che in un momento (lunghissimo) in cui la cultura e le condizioni architettoniche ed urbanistiche della città vecchia di Taranto vengono disconosciute dall'ambito istituzionale c’è chi, nella pratica, cerca di riappropriarsi della propria identità: la maggior parte delle dinamiche culturali e abitative sviluppate nel borgo antico di Taranto sono frutto di processi di autorganizzazione e autofinanziamento, pratiche quotidiane di un popolo che rivendica il diritto di vivere in una città occupata militarmente, aggredita dall'industria, soffocata dall'inquinamento e senza nessuna alternativa di lavoro e sviluppo.
Nei prossimi post approfondiremo e divulgheremo ciò che accade nell’ISOLA CHE C’È dando spazio, dunque, alla divulgazione dell'impegno concreto di chi nella Città Vecchia “ripristina” e “crea” reinventando spazi abitativi, culturali, sociali e organizzando iniziative aperte con l’obiettivo di riscoprire il valore dell’aggregazione.
di Valentina Castronuovo