martedì 4 febbraio 2014

ILVA..."QUEL PROGETTO ALLA ROVESCIA"

Credeva di averla pensata bene chi, 50 anni or sono, ha tirato su, secondo un “progetto alla rovescia” la zona di lavorazione a caldo dell’Ilva a ridosso del centro abitato e l’area a freddo nel punto più distante da esso.
Me li immagino strofinarsi le mani, soddisfatti, per essere riusciti a risparmiare qualche spicciolo sui nastri trasportatori che avrebbero trasferito, per la via più breve, le materie prime dal porto allo stabilimento.
Gli immensi parchi di minerale visti dall'alto
La “pensata” aveva quel vivo luccichio negli occhi di chi accarezzava l’ambizioso progetto di lanciarsi alla conquista dell’Europa a cavallo del Colosso dell’Acciaio.
E certo nessuno poteva immaginare, allora, di dover alzare il dito all’aria per capire la direzione del vento, alla ricerca della posizione migliore per stanziare l’area industriale. Nessuno, nell’età dell’industrializzazione, poteva immaginare che quella scelta sarebbe costata tanto a Taranto in termini di salute e di aspettative di vita, di contaminazione dell’aria, dell’acqua, del suolo, mettendo in ginocchio anche l’allevamento e l’agricoltura.
Eppure c’è stato chi, lungimirante più di noi, ha rifiutato l’insediamento industriale, ma si sa, col senno di poi, tante cose potrebbero essere diverse.
E’ bastato che scorresse un pò d’acqua sotto i ponti perché il Colosso dell’Acciaio, più grande e importante d’Europa, conquistasse il primato dell’arretratezza, un’arretratezza indotta, voluta, svogliata.
La tecnologia delle cokerie, obsoleta e del tutto inadeguata, unita alle perpetrate e continue violazioni di legge, determina un inquinamento dieci volte maggiore rispetto a quello prodotto dalle più avanzate cokerie.
Un “dejavu” per lo stabilimento siderurgico genovese. Genova e Taranto a confronto: una specchio dell’altra; ma se la città ligure è riuscita a liberarsi dell’area a caldo dell’Ilva, la nostra Taranto continua ad arrancare, per il prevalere di squallidi interessi industriali e il totale disinteresse della classe politica.
Il Prof. Federico Valerio, il chimico ambientale, che ha contribuito alla chiusura della cokeria genovese, ha spiegato, trasformando strambi algoritmi in parole semplici, come si possa rilevare l’esatto livello di inquinamento dalle “impronte digitali” delle fonti inquinanti per poi ricavare la concentrazione cui è esposta la popolazione e stimarne il danno sanitario.
I tarantini conoscono bene l’esatto numero delle tonnellate di polveri, idrocarburi, policiclici aromatici, benzene ogni giorno immesse nell’atmosfera*. E allora che fare? La soluzione, per il ricercatore, sta nella copertura dei parchi minerali, nel completo rifacimento delle cokerie e degli altiforni, con l’inevitabile necessità di interrompere l’attività produttiva, reimpiegando gli stessi lavoratori nelle opere di bonifica e di ricostruzione dei nuovi impianti e, ovviamente, con l’investimento di ingenti capitali. Il Prof. Valerio è anche convinto però che il governo appresterà solo qualche semplice accorgimento tecnico, (come ad esesmpio l’innalzamento delle prescrizioni aia) perché l’Ilva continui a produrre inquinando, perché l’Ilva continui a sbuffare e portare lauti guadagni alla nazione. Non fa specie al tarantino, che l’aria l’ha vista friggere, rifriggere e strafriggere. Del resto tutte le dissertazioni, giunte dai vari rappresentanti di governo che si sono avvicendati, sulle “cattive” abitudini di vita dei tarantini, sui bambini di Taranto, fumatori in fasce, sul fenomeno di contrabbando di sigarette, diffuso solo a Taranto, e sulla deportazione degli abitanti dei Tamburi verso un’altra Terra Promessa, la “New Tamburi”, indegne di qualsiasi commento, ormai sono leggende metropolitane.

A cura di Alessia Simeone



*Lo stabilimento tarantino emette ogni anno 2148 tonnellate di polveri, 8000 tonnellate di idrocarburi, policiclici aromatici, 15 tonnellate di benzene e svariate tonnellate di altri inquinanti, che tradotto in una misurazione “in sigarette” dell’inquinamento corrisponde ad una media di 2,3 sigarette al giorno, quando i venti spirano dall’area industriale verso la città e 1,2 sigarette al giorno in assenza di vento, per i bambini; mentre un lavoratore ilva addetto alla caricatrice inalerebbe 305 sigarette al giorno, l’addetto al piano coperchi 7278.